Tabu' : Sesso dietro le sbarre -S08-
Un viaggio che ci condurrà dietro le sbarre di alcune prigioni per svelare tutti i misteri e i tabù legati al tema del sesso in carcere e di come tutto ciò viene vissuto dai detenuti.
INFOWEB
Entrando in prigione il detenuto deve accettare in primis tutti gli ordinamenti dell’amministrazione penitenziaria, ma anche i numerosi riti e miti della subcultura carceraria, ivi compreso un severo codice non scritto di regolamento fra detenuti.
Dietro le sbarre l’inaccettabile diventa quotidianità: perdere la libertà di uscire a fare una passeggiata, o semplicemente a prendere una boccata d’aria, avere a che fare, anche nella propria intimità, con persone che spesso non si rispettano e di cui sempre si sospetta, può essere particolarmente stressante.
Si è visto ad esempio che lo stato di detenzione modifica perfino le funzioni cognitive del soggetto e soprattutto la capacità di prendere decisioni, che subisce un forte declino (Cooke, Baldwin, Howison, 1990). Cambia poi la percezione della realtà, si rielaborano ad esempio gli eventi che hanno condotto al carcere vivendo la così detta "sindrome di innocenza “, si innescano meccanismi difensivi come la "minimizzazione", la "razionalizzazione" e la "proiezione” (Ferracuti et al.,1994), che hanno lo scopo di permettere la sopravvivenza dell’interssato, malgrado le enormi e immediate privazioni subite all’entrata in carcere.
Sin dai tempi più antichi, la mancanza della libertà di fare ciò che si desidera fa parte della ‘punizione’ che si intende dare al recluso: la pena infatti consiste essenzialmente nella privazione delle più piccole libertà individuali, nella separazione dalla propria vita e dalle proprie abitudini, dalla propria casa, dai propri affetti. Ciò che tradizionalmente si è voluto far sperimentare all’individuo in carcere è uno stato di ‘mal-essere’ che avrebbe dovuto servire, nelle intenzioni, da deterrente: una spaventosa minaccia che pende sia su chi è fuori dal carcere (e inibisce pertanto i comportamenti devianti), sia su chi ha la sfortunata opportunità di sperimentare questa vita di privazione e possa trovare in questa spiacevole esperienza la motivazione a comportarsi in futuro più correttamente, evitando le recidive.
Le tendenze giuridiche moderne tuttavia, tendono a riconoscere l’eccezionalità di taluni casi rispetto alla legge, concependo il diritto in termini preventivi e applicandolo tenendo conto della singolarità dei casi, specie quando si abbia a che fare con fenomeni di delinquenza giovanile, tossicodipendenza, o emarginazione sociale. La presenza dello psicologo in carcere serve proprio per favorire la ri-socializzazione dei detenuti, per prevenire la recidiva e garantire al reo i suoi diritti civili, a volte assecondando interpretazioni più soggettive delle norme, in base ai comportamenti e alle vari condizioni personali, fisiche, emotive, ambientali dei soggetti.
La vita in carcere infatti è particolarmente dura ed a parte i problemi legati all’endemico sovraffollamento e alla mancanza di fondi per garantire ai carcerati una detenzione più a misura d’uomo, sono lo stato di detenzione in sé, la privazione delle libertà personali, l’insolita e del tutto innaturale promiscuità che si è costretti ad avere con gli altri, l’incertezza sul proprio futuro, l’allontanamento dai propri affetti, che possono determinare dei cambiamenti nella persona, spesso in senso negativo. Questo vale anche sotto l’aspetto delle abitudini sessuali, quando non derivano da una libera scelta.
Gli studi in proposito ci dicono che nelle carceri giudiziarie l’omosessualità risulta praticata in modo sporadico ed occasionale, mentre nelle carceri penali si stima che il 70-80% dei reclusi pratichi rapporti omosessuali con gli altri detenuti.
Come tutte le cose che vengono negate, in carcere la sessualità diventa un’ossessione e non è raro che le persone si lascino tentare dalle ‘occasioni’ che man mano si presentano loro. Ad esempio il soggiorno nella propria cella di un soggetto che ha bisogno di denaro per potersi comperare la droga (o altri oggetti personali cui è abituato e che gli vengono negati in carcere), e che per averli è disposto a prostituirsi.
Per questo l’amministrazione penitenziaria cerca di prevenire tali problemi, prima ancora che si presentino, mettendo ad esempio in celle isolate i trans, che potrebbero creare uno stato di confusione fra i detenuti. Altro caso è quello dell’arrivo in carcere di un nuovo detenuto che si sia macchiato di un crimine contro i bambini. In questo caso le leggi non scritte della prigione prevedono infatti la sodomizzazione del reo.
Non dobbiamo dimenticare che chi entra in carcere, fino a quel momento ha avuto una vita sessuale ‘normale’, ovvero ha potuto scegliere il proprio/la propria partner con la massima libertà. Se eterosessuale, non ha forse mai pensato ad avere un partner dello stesso sesso: pratica verso la quale nella vita attiva può aver provato semplice avversione, se non addirittura ripugnanza. In carcere tutto cambia: i detenuti raccontano che, dopo un primo periodo in cui tutto si pensa meno che alla sessualità, comincia a farsi opprimente il desiderio, il bisogno di allentare le tensioni che, man mano, si sono andate creando nell’apparato genitale.
A questo proposito, va rilevato che la popolazione carceraria femminile sembra in questo molto più tranquilla di quella maschile. La tensione sessuale delle donne è più orientata verso manifestazioni di affetto e dunque, sebbene vi siano rapporti lesbici, essi sono meno appariscenti di quelli messi in atto dagli uomini, sono meno violenti e soprattutto tesi a formare delle relazioni pseudofamiliari, che non creano motivi di disordine.
Per gli uomini, il sollievo viene dapprima cercato nell’autoerotismo, via via sempre più stimolato dalla visione di materiale pornografico, che in carcere è assai diffuso. Poi anche questo non basta più e si desidera toccare, lasciarsi accarezzare, perché la sessualità, dopo tutto, è anche affettività, comunicazione, contatto. Ed allora si comincia con uno scherzo, un gesto affettuoso, una coccola e si finisce col diventare veri e propri amanti, con tanto di gelosie, tradimenti, scenate e violenze.
E questo cambiamento indotto nell’identità di genere ed anche nella scelta del proprio ruolo sessuale può provocare delle dissociazioni a livello psichico, che possono essere alla base di un successivo disturbo psico-patologico o psichiatrico. Infatti, si possono andare ad incrinare precedenti fragilità, rinfocolare traumi, esaltare sensi di autocolpevolizzazione, perdere completamente la stima di sé.
Per questo si assiste a numerosi suicidi in carcere, un numero purtroppo in costante crescita. (Per dare un’idea del problema, nelle carceri francesi, nel 2001, ci sono stati 104 suicidi su 203 decessi).
Si è anche visto che il passaggio all’atto suicidarlo ha riguardato soggetti in carcere per delitti sessuali, specie verso i minori (a causa dei maltrattamenti subiti da parte degli altri detenuti), oppure i più giovani ed i più fragili, oltre che coloro che sono stati condannati ad una pena superiore ai dieci anni. Anche il semplice rifiuto di un permesso, l’abbandono di una persona cara,i rimorsi, possono essere fonte di una grave disperazione e della decisione di farla finita. In genere queste condotte suicidarie sono precedute da scioperi della fame, automutilazioni, altri tentativi di suicidio.
L’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo stabilisce il : «diritto di stabilire relazioni diverse con altre persone, comprese le relazioni sessuali » ; « il comportamento sessuale è considerato un aspetto intimo della vita privata » C’è anche il diritto di creare una famiglia, stabilito dall’articolo 12 della stessa Convenzione. Il Consiglio dei Ministri europeo ha raccomandato agli Stati membri di permettere ai detenuti di incontrare il/la proprio/a partner senza sorveglianza visiva durante la visita. (Raccomandazione R(98)7, regola n. 68).
Anche l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha raccomandato di mettere a disposizione dei detenuti dei luoghi per coltivare i propri affetti [Raccomandazione 1340(1997) relativa agli effetti della detenzione sui piani familiari e socialil]. Inoltre, si è stabilito che questi luoghi per la vita familiare debbano essere accessibili a tutte le persone incarcerate e per tutti i tipi di visite: coniuge, figli e tutte le persone con permesso di visita, senza alcuna discriminazione. (Consiglio d’Europa: Raccomandazione R(98)7 relativa agli aspetti etici e organizzativi nei luoghi di detenzione Consiglio dei Ministri.).
In Italia, c’è stata la proposta di legge 653/86 (poi abrogata) per tentare di introdurre la possibilità che il detenuto potesse fruire di permessi-premio ed in particolare l’art. 30-ter riconosceva al recluso di poter coltivare interessi effettivi, culturali o di lavoro all’esterno della struttura carceraria, come peraltro accade da tempo in Danimarca, Norvegia, Svezia. E’ stata anche considerata l’idea di introdurre delle apposite ‘celle per l’amore’, in modo che il detenuto avesse potuto mantenere un legame di coppia pre-esistente, ma la cosa ha suscitato delle ovvie perplessità di ordine psicologico e morale, oltre che ambientale. Per fare un esempio, il detenuto nella cella dell’amore va controllato? E se si, da chi? Come? Attualmente sono in vigore 4 ore di colloquio e 12 minuti di telefonata mensile: un periodo di tempo troppo breve che non può ovviamente sostenere alcun tipo di rapporto affettivo.
Se il carcere deve essere idealmente un luogo di ‘rieducazione’, o più realisticamente un luogo dove possa essere almeno conservata la dignità umana, i comportamenti sessuofobici di chi sta fuori dalle sbarre e fa leggi e regolamenti, non sembrano lungimiranti, né utili al re-inserimento sociale di questi soggetti. Non solo per loro stessi e per il loro diritto di continuare a vivere, una volta scontata la pensa, ma anche per il nostro stesso futuro, o per il futuro dei nostri figli.
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