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sabato 4 giugno 2011

Tabu' : Il Corpo Trasformato

Tabu' : Il Corpo Trasformato


Cosa ci spinge a ridisegnare o deformare il nostro corpo con operazioni o costrizioni d'ogni sorta? A definire noi stessi, e a dichiarare a quale cultura apparteniamo.

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I Kayan sono una etnia della popolazione Karenni, una minoranza i lingua Tibetano-Birmana. Sono anche chiamati Padaung. Nel 1990 a causa di un conflitto con il regime militare birmano molte tribù si sono rifugiate in Thailandia. Esse vivono adesso con uno status legale incerto nei villaggi di confine, vivendo soprattutto con il turismo dovuto al tipico costume delle donne Kayan: gli anelli da collo.
Si stima la popolazione kayana in 7000 membri.

Le donne giraffa
In Italia sono conosciute con questo nome, dovuto alle modifiche fisiche provocate da una spirale di ottone portata fin dall'infanzia, dall'età di cinque anni; la scelta di portare la spirale è completamente volontaria e viene richiesta dalle bambine alle proprie madri. Successivamente la spirale viene sostituita con altre di dimensioni sempre maggiori fino a che la pressione non provoca uno slittamento della clavicola e una compressione della gabbia toracica. Diversamente da quanto ritenuto, il collo non è allungato, ma sono invece le spalle che scendono: l'illusione è creata solo dalla deformazione della clavicola.

Il popolo dei Padaung, un piccolo sottogruppo dei Karen-Bwe che vive nella remota regione montana dello stato Kayan, è una tra le etnie più misteriose e affascinanti dell'intero Oriente. Il nome padung di questa minoranza tra le minoranze, in lingua birmana significa "lungo collo". Questa tribù è divenuta oggetto di un "turismo etnico" a causa proprio di una singolare usanza dalle sue donne, per la quale è stato coniato l'appellativo di donne-giraffa. Un'antichissima tradizione non ancora del tutto abbandonata, vuole che esse debbano avvolgere attorno al collo una lunga e pesante spirale d'ottone. Questo particolare ornamento è composto da due parti distinte. Quella inferiore, che ricopre in parte la spalla, è a guisa di bavero ed è tenuta insieme da un'ansa formata a sua volta da anelli, mentre la parte superiore è formata da una lunga spirale che avvolge il collo. All'età di cinque anni, nel corso della "cerimonia del plenilunio", alle bambine vengono imposte spirali d'ottone alle braccia e le caviglie, quindi vengono sottoposte ad un vigoroso massaggio per stirare i muscoli del collo dopodiché vengono fatti loro indossati i primi tre chili di collare attorno alla gola. Questo rito di iniziazione segna per sempre la vita delle future donne. Nel corso degli anni il collare viene poi via via aumentato di peso. Nella tradizione di questo popolo il monile non solo conferisce agli occhi dei membri della tribù un particolare fascino a chi lo indossa, ma anche prestigio sociale e morale. Senza di esso la tradizione rendeva improponibile sia il matrimonio che la maternità e irrealizzabile l'affermazione personale. Giunte in età da marito, il collo di queste donne, che nel frattempo ha raggiunto l'eccezionale lunghezza di venticinque centimetri, si trova ormai racchiuso in un collare da una decina di chili. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è il collo ad allungarsi, ma la cassa toracica, che sotto la pressione esercitata dal peso del collare, si abbassa. Il collo così deformato viene limitato nei movimenti e a causa dell'atrofizzazione dei muscoli, non è più in grado di sorreggere la testa. Qualora il collare venisse tolto, queste donne morirebbero soffocate poiché la testa cadendo bloccherebbe la respirazione. In passato alle spose infedeli veniva inflitta come punizione l'allontanamento dal villaggio dopo che era stato loro tolto il collare.
Questa pratica di abbigliamento, costringe a dover giornalmente massaggiare gambe, braccia e collo per agevolare la circolazione sanguigna.
Attribuire a questa usanza un valore puramente estetico sarebbe però un errore. Come sempre dietro ad ogni usanza e ad ogni costume si cela la necessità di affermare la propria identità. Ecco quindi che questi elementi divengono segni distintivi con il preciso compito di trasmettere un'informazione e un'affermazione di sé con riferimenti unanimemente riconoscibili per quanto riguarda l'appartenenza alla propria tribù, al proprio status sociale, alla differenziazione tra donne nubili e sposate, alla protezione dai pericoli e dalle malattie finanche ad un mezzo per comunicare con le divinità. Così anche per le donne-giraffa l'usanza di avvolgere la gola in stretti collari si può ricondurre a miti leggendari.
Si narra che in un tempo lontano i Padaung vivessero nella lussuria e nei piaceri. I nat, gli spiriti della locale credenza popolare, indispettiti da questo comportamento superficiale e indolente decisero di punire i Padaung aizzando feroci tigri contro le loro donne. Gli uomini preoccupati dal rischio di perdere le proprie amate, seguendo i consigli di un vecchio saggio, decisero di utilizzare grossi fili d'oro per fabbricare spirali con le quali proteggere il collo e gli arti delle donne dai morsi dei felini. Da allora le donne, pur utilizzando un metallo meno prezioso dell'oro, non abbandonarono più quell'usanza che anzi venne adottata come simbolo di seduzione e fedeltà.
Il "peso" di questa bellezza non influisce tuttavia sulla attività delle donne; i loro movimenti infatti non sono impediti dai collari e permettono loro di lavorare nei campi, andare al mercato, svolgere le faccende domestiche, tessere al telaio e accudire i figli.

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